Pubblicato da Federica Ferrario
il 07/11/2025
A Belém, porta d'accesso all'Amazzonia brasiliana, dal 10 al 21 novembre, si terrà la COP30, la Conferenza Onu sul clima. Un vertice che chiude idealmente un cerchio a dieci anni dagli Accordi di Parigi e che si annuncia come uno dei più delicati e simbolici della storia dei negoziati climatici. Una COP che - almeno in teoria - potrebbe segnare una svolta per i sistemi alimentari mondiali, ma dove in realtà l'agribusiness è pronto a un'offensiva pesante.
Il Brasile, che ospita la conferenza, incarna contraddizioni pesanti. Da un lato, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva - acclamato come "presidente del popolo" dopo la rielezione nel 2023 - ha promesso di proteggere l'Amazzonia, dall'altro, il paese continua a investire miliardi in nuove estrazioni petrolifere, le aziende agroindustriali dettano legge ed è la patria della più grande - e discussa - azienda di produzione di carne a livello globale (JBS), dimostrando quanto sia complessa la transizione ecologica.
Eppure, per la prima volta, una COP si svolge nel cuore del polmone verde del pianeta. Un segnale potente, che arriva però in un momento di estrema difficoltà: la maggior parte dei paesi è ancora lontana dagli obiettivi di riduzione delle emissioni, mentre gli impatti climatici si intensificano.
Il contesto globale rende questo vertice più complicato che mai. Gli Stati Uniti hanno annunciato lo scorso febbraio la volontà di ritirarsi dall’Accordo di Parigi, e hanno una strategia economica ancora lontanissima da una reale transizione post-fossile. Con gli USA di fatto ai margini del processo, la Cina si ritrova nuovamente in posizione di forza, come già accaduto negli ultimi incontri internazionali.
In questo contesto, l’Unione europea si trova davanti a una scelta determinante. Sarà infatti costretta a collaborare strettamente con la Cina e con potenze emergenti come l’India per tenere in vita l’ambizione di un accordo climatico globale. Bruxelles arriva a questo appuntamento al termine di una lunga discussione sui target di riduzione, che arriva al fotofinish con una conferma dell’obiettivo di riduzione del -90% al 2040 (con possibilità di utilizzo dei crediti internazionali) e la presentazione di un piano NDC (Nationally Determined Contribution- Contributi Determinati a Livello Nazionale) di impegni al 2035. Il range sul quale è stato trovato un accordo prevede un taglio delle emissioni compreso tra il 66,25% e il 72,5% rispetto ai livelli del 1990. In assenza di questi ultimi passi, l’Unione europea sarebbe giunta a Belém in una posizione di eccessiva debolezza, che avrebbe ulteriormente pesato e messo in discussione la sua credibilità internazionale. Resta il fatto che le divisioni interne sugli obiettivi di riduzione delle emissioni mostrano chiaramente quanto il concetto stesso di Green Deal sia tutt’altro che condiviso come priorità.
La COP30 potrebbe rappresentare una svolta epocale per i sistemi alimentari globali, responsabili di circa un terzo di tutte le emissioni di gas serra. L'agricoltura è infatti nell'agenda ufficiale del vertice, riconoscendo il suo ruolo cruciale nella crisi climatica.
Il settore produce una grande fetta di emissioni climalteranti e come ricorda l'IPCC, il panel scientifico dell'ONU, non ci sarà soluzione alla crisi climatica senza riduzioni rapide delle emissioni del sistema alimentare.
Ma a Belém, l'agribusiness globale si prepara a lanciare una pesante controffensiva. Secondo un'analisi di DeSmog, le grandi aziende del settore stanno intensificando una campagna per presentarsi come "soluzione" al cambiamento climatico, invece che responsabile, promuovendo concetti ambigui e tecnologie controverse.
Ecco otto strategie di greenwashing da fiutare e tenere d’occhio durante il vertice:
Come ci ricordano i ricercatori della Commissione Eat-Lancet, i sistemi alimentari sono il principale fattore di superamento di cinque dei nove confini planetari individuati dagli scienziati: clima, biodiversità, uso del suolo, acqua dolce, inquinamento da nutrienti e da nuove sostanze chimiche.
La posta in gioco a Belém non potrebbe essere più alta. Come dimostrano numerosi studi, senza una trasformazione profonda dei sistemi alimentari, e senza una riduzione significativa di produzione e consumo di carne - in particolare nei paesi ricchi e a medio reddito - gli obiettivi dell'Accordo di Parigi rimarranno irraggiungibili.
La COP30 rappresenta quindi un bivio cruciale: da un lato, la visione dell'agribusiness che promette soluzioni tecnologiche senza mettere in discussione il modello produttivo attuale; dall'altro, l’approccio della società civile e della scienza che chiede cambiamenti strutturali, sostegno all'agroecologia e riduzione degli allevamenti intensivi.
Gli occhi del mondo sono quindi puntati sul Brasile, mentre i rappresentanti di quasi 200 nazioni si riuniscono nel cuore dell'Amazzonia. Non solo per quello che decideranno i governi, ma anche per la battaglia, più sottile ma ugualmente cruciale, contro le narrazioni ingannevoli che rischiano di minare dalla base ogni reale progresso nella lotta al cambiamento climatico.
Il futuro del nostro pianeta potrebbe dipendere dalla capacità di distinguere le soluzioni reali dal mero greenwashing, oltre che dal via libera a scelte politiche coraggiose, che non possono più attendere.