Pubblicato da Federica Ferrario
il 24/10/2025
Sei anni dopo, la Commissione EAT-Lancet torna con un nuovo report che indaga i legami tra il nostro sistema di alimentazione e lo stato del pianeta. Il nuovo dossier EAT-Lancet 2.0 amplia la visione rispetto al precedente: oltre alla salute umana e ambientale, infatti, introduce due dimensioni fondamentali spesso trascurate – giustizia e accessibilità del cibo. In altre parole, la dieta planetaria non vuole più essere solo nutriente e “sana per il pianeta”, ma anche “giusta per le persone”.
Nel 2019, la Commissione EAT-Lancet pubblicò un rapporto che fece discutere tutto il mondo: per la prima volta, un gruppo di scienziati metteva nero su bianco che cambiare il modo in cui mangiamo non è solo una questione di salute, ma una condizione necessaria per la sopravvivenza del pianeta.
Quel documento - intitolato Food in the Anthropocene - introdusse il concetto di “dieta planetaria”, un modello alimentare capace di nutrire dieci miliardi di persone entro il 2050 senza distruggere gli ecosistemi. La proposta, però, generò anche polemiche. Alcuni la definirono una dieta “standardizzata” che ignorava diversità culturali e abitudini regionali; altri la attaccarono duramente, soprattutto le lobby della carne, che organizzarono campagne mediatiche e social per tentare di screditarne la validità scientifica.
EAT-Lancet 2.0 nasce dal lavoro di oltre 70 esperti di nutrizione, clima, economia, agricoltura e scienze sociali provenienti da 35 Paesi e sei continenti.
La loro conclusione è chiara: non è possibile restare entro i limiti planetari (climatici e ambientali) senza cambiare radicalmente il modo in cui produciamo e consumiamo il cibo.
Anche se il mondo smettesse domani di bruciare carbone, gas e petrolio, i soli sistemi alimentari – dall’agricoltura agli allevamenti, dal trasporto alla trasformazione – continuerebbero a spingere la temperatura oltre la soglia critica di +1,5°C.
Oggi, l’alimentazione è il principale fattore di superamento di cinque dei nove confini planetari individuati dagli scienziati: clima, biodiversità, uso del suolo, acqua dolce, inquinamento da nutrienti e da nuove sostanze chimiche.
Il sistema alimentare globale è inoltre responsabile di circa il 30% delle emissioni di gas serra, di una quota significativa della deforestazione e dell’inquinamento idrico, e di condizioni di lavoro precarie per milioni di persone.
Ma, soprattutto, è profondamente ingiusto: meno dell’1% della popolazione mondiale vive oggi in uno “spazio sicuro e giusto”, cioè in condizioni in cui la propria dieta è adeguata, sana e sostenibile. Nel frattempo, il 30% più ricco del pianeta produce oltre il 70% degli impatti ambientali legati al cibo.
La Planetary Health Diet aggiornata si fonda su tre criteri cardine:
Il modello alimentare resta flessibile, adattabile ai diversi contesti culturali e geografici.
Al centro ci sono alimenti di origine vegetale – cereali integrali, legumi, frutta, verdura, frutta secca e semi – con un consumo estremamente ridotto di carne rossa e latticini e moderato di pesce, uova e pollame.
La dieta incoraggia anche la limitazione di zuccheri, grassi saturi e alimenti ultra-processati, che oggi rappresentano una delle cause principali di obesità, malattie cardiovascolari e diabete.
Seguire la dieta planetaria significherebbe, su scala globale, dimezzare la produzione di carne rossa, riorientare la pesca e ridurre progressivamente i latticini.
Non si tratta di un’imposizione uniforme, ma di un quadro di riferimento: ogni Paese può adattarla alle proprie tradizioni e disponibilità, mantenendo l’obiettivo comune di migliorare salute e sostenibilità.
I dati raccolti dalla Commissione parlano da soli:
In tutte le regioni del mondo, i modelli alimentari attuali mostrano gli stessi squilibri: troppa carne e zuccheri, poca frutta e verdura.
Correggere queste distorsioni è cruciale non solo per la salute delle persone, ma per quella degli ecosistemi: l’agricoltura intensiva e la zootecnia industriale sono responsabili di un’enorme quota di deforestazione, consumo d’acqua e perdita di biodiversità.
Secondo la Commissione, la trasformazione dei sistemi alimentari deve poggiare su tre azioni interconnesse:
Sono azioni che richiedono volontà politica, risorse finanziarie e cooperazione internazionale. EAT-Lancet denuncia tre ostacoli principali alla loro realizzazione: leadership politica debole, interessi economici privati e una domanda di azione debole e frammentaria.
Senza un forte impegno pubblico, il cambiamento rischia di restare confinato a nicchie virtuose.
Una delle novità più significative di EAT-Lancet 2.0 è il riconoscimento del diritto al cibo sano e giusto.
Oggi, un terzo dei lavoratori del settore alimentare guadagna meno di un salario dignitoso, e molti sono esclusi da tutele essenziali.
Trasformare i sistemi alimentari significa anche ridistribuire benefici e costi, garantendo rappresentanza e condizioni eque a chi produce il nostro cibo.
Il rapporto elenca otto priorità d’azione per i governi, le imprese e la società civile:
La Commissione insiste su un punto spesso trascurato: le scelte alimentari non sono solo personali, ma politiche.
Ciò che arriva nei nostri piatti dipende da politiche agricole, sussidi, regolamentazioni commerciali e strategie industriali.
In Europa, EAT-Lancet invita a riformare la Politica Agricola Comune (PAC), che oggi continua a premiare produzioni ad alto impatto ambientale e non agevolare una transizione ecologica.
Cambiare le diete significa anche cambiare il sistema che le sostiene: ridisegnare i sussidi, incentivare pratiche agroecologiche e proteggere i “consumatori”.
Solo così sarà possibile portare l’alimentazione globale entro lo “spazio sicuro e giusto” in cui salute, equità e sostenibilità si rafforzano a vicenda.
EAT-Lancet 2.0 ci consegna una verità ineludibile: il futuro del pianeta passa anche dai nostri piatti.
Non è un invito moralista, ma un appello alla responsabilità condivisa.
Le nostre scelte alimentari quotidiane - sia per ciò che riguarda produzione e consumo - possono salvare milioni di vite, ridurre le emissioni, rigenerare ecosistemi e rendere più giusto il sistema globale del cibo.
Come scrive la Commissione, l’obiettivo non è imporre una dieta universale, ma garantire che tutti possano vivere in uno “spazio sicuro e giusto”, dove persone sane abitano un pianeta sano.
Un equilibrio fragile, ma ancora possibile se, finalmente, scegliamo di metterlo nel piatto.
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