Pubblicato da Federica Ferrario
il 05/11/2025
La produzione italiana di pere registra un altro drammatico crollo.
Mentre i banchi frigo dei supermercati europei continuano a offrire un’immagine di perfezione – file ordinate di mele lucide e pere impeccabili, nelle campagne del Nord Italia, cuore storico della pericoltura nazionale, si consuma un dramma silenzioso.
Un paradosso che vede da un lato la frutta "fuori calibro" o con lievi imperfezioni estetiche scartata dai circuiti commerciali principali, e dall’altro un settore produttivo in ginocchio, che fatica a sopravvivere a eventi climatici estremi e fitopatie sempre più aggressive.
I dati del 2025 sono impietosi: dopo una lieve ripresa nel 2024, la produzione italiana di pere registra un nuovo, drammatico crollo del -24,7%. Il quadro è particolarmente critico in tutto il Nord Italia, dove si concentra il 64% dei rimanenti 21.000 ettari coltivati. Questa non è una semplice annata negativa, ma l'ultimo capitolo di un declino decennale: tra il 2011 e il 2023, l'Italia ha perso 15.000 ettari di superficie coltivata a pero, un vero e proprio esodo che ha dimezzato il potenziale produttivo nazionale.
Le cause di questo tracollo sono sotto gli occhi di tutti i produttori, la coltivazione delle pere, dal punto di vista agronomico, è sempre più complessa, di conseguenza è in via d’abbandono, dicono le analisi di settore. A pesare sono fitopatie, la vorace cimice asiatica e a questi si sommano le sempre più frequenti gelate primaverili, le alluvioni e la siccità, in altre parole, i cambiamenti climatici.
Il risultato è che molti agricoltori, dopo una successione di annate negative, hanno alzato bandiera bianca. C’è chi abbandona la coltivazione e consegna il poco prodotto all’industria per marmellate e prodotti affini, e chi addirittura espianta gli alberi, raccontano gli operatori. Ormai, buona parte delle pere che troviamo sugli scaffali della grande distribuzione organizzata (GDO) in Italia proviene dal Nord Europa, che sta investendo massicciamente nella produzione.
È in questo scenario critico che la campagna "Oltre la buccia", diventa non solo una questione di buon senso, ma una necessità economica e ambientale urgente. La campagna denuncia il paradosso per cui tonnellate di frutta perfettamente commestibile, ma non conforme a standard estetici rigidi (dimensione, forma, colore), vengono scartate e destinate – tra l’altro a prezzi spesso ridicoli - all'industria di trasformazione o, peggio, allo spreco.
Mentre l'Italia perde terreno, il Belgio segna un boom produttivo del +32,1% e i Paesi Bassi un +8,1%. Paesi dove la "Conference", una varietà di pere più “rustica” (buccia più spessa e per questo più resistente a manipolazione e trasporto), è in crescita, ma essendo una varietà che predilige i climi più freschi, in Italia non funziona dato le temperature in crescita.
Insistere con standard di pura apparenza in un contesto produttivo così fragile significa dare il colpo di grazia a un settore già in affanno. I produttori italiani sono costretti a una corsa contro il tempo per aggiornare il modello produttivo, puntando su nuove varietà resistenti e tecnologie di precisione. Ma questi sforzi saranno vani se il mercato continuerà a privilegiare solo la "bellezza" a discapito della sostanza.
La petizione "Oltre la buccia" chiede una revisione degli standard commerciali e una maggiore trasparenza verso i consumatori. È un appello che ora, alla luce dei dati produttivi, suona come un'allerta per la sovranità alimentare. Accettare che una pera possa avere una macchiolina o una forma non canonica non è un abbassamento della qualità, ma un atto di consapevolezza.
Significa riconoscere che il vero valore di un frutto non sta nella sua buccia impeccabile, ma nel lavoro, nella risorsa idrica e nel suolo che rappresenta. Soprattutto, significa dare un futuro a migliaia di produttori italiani che, schiacciati tra i costi di produzione e le avversità climatiche, non possono più permettersi il lusso di vedere il proprio lavoro sprecato per un dogma estetico. Andare "oltre la buccia" non è più una scelta, ma l'unica strada per salvare le pere italiane dall'estinzione.