Il governo ci ripensa: no ai voucher. Ma il lavoro agricolo resta precario

Pubblicato da Redazione

il 27/12/2022

Il lavoro occasionale a tempo determinato che il Governo sta introducendo con l’attuale finanziaria, rischia di aumentare la precarietà. Non era questo il passo indietro che volevamo dal governo in materia di voucher e diritti sul lavoro.

Nelle settimane scorse, il governo Meloni aveva annunciato di voler reintrodurre nella legge di Bilancio 2023, che oggi 27 dicembre passa al Senato, i voucher, spingendoci ad un’accesa mobilitazione insieme al mondo sindacale (Qui spiegavamo le ragioni del nostro malcontento).

Oggi quei voucher fortunatamente sono stati stralciati dalla Finanziaria. Ma il nuovo disegno che avanza potrebbe disegnare scenari allo stesso modo preoccupanti.  

Il governo, infatti, ha introdotto un nuovo sistema di assunzioni, chiamato “lavoro subordinato occasionale a tempo determinato”. Un rapporto di lavoro riservato a titolari di pensione di vecchiaia o di invalidità, a giovani con meno di 25 anni iscritti a un corso di studi, a studenti sopra i 16 anni durante le vacanze scolastiche, a stranieri con permesso di soggiorno, a disoccupati o percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, lavoratori part-time, che non hanno avuto rapporti di lavoro agricolo nei tre anni precedenti.  

Per il modo in cui è pensata questa norma, il rischio è che questo tipo di prestazione alimenti il precariato o, peggio, le forme di sfruttamento, soprattutto per le persone straniere e per i disoccupati. Da questi nuovi contratti restano esclusi i lavoratori agricoli iscritti negli elenchi anagrafici Inps, che hanno lavorato nel settore nei tre anni precedenti. Eppure proprio su di loro potrebbero ricadere gli effetti più negativi: il nuovo contratto in vigore potrebbe generare una concorrenza al ribasso con quello tradizionale preesistente.  

Il rischio più forte a cui questo nuovo contratto espone è l’arbitrarietà dei datori di lavoro. La prestazione per ogni occupato non potrà superare i 45 giorni, anche se il contratto ha una validità di 12 mesi. Una durata piuttosto lunga, nella quale i datori di lavoro potrebbero imporre sui lavoratori ritmi e modalità di lavoro duro con punte di illegalità.

Le giornate lavorative saranno retribuite con riferimento ai contratti collettivi dell’agricoltura e saranno utili ai fini di eventuali successive prestazioni previdenziali e assistenziali, ma anche alla determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno. Eppure più che agevolare il piano dei lavoratori, sempre più orientato su precarietà e scarse tutele, le migliori novità riguardano il mondo delle imprese, che emetteranno un’unica busta paga alla scadenza del rapporto (a fine anno) stabilendo quanti e quali giorni registrare, erogando i compensi in forma settimanale e i contributi in forma bisettimanale.

Ma soprattutto l’azienda avrà facoltà di chiamare il lavoratore come e quando vuole, in base ai propri bisogni.   

Una novità che rischia di sbilanciare ulteriormente i rapporti a favore dei datori di lavoro che vogliono lavorare nell’illegalità. Una norma di cui non sentivamo alcun bisogno, in un settore, già fortemente piegato da sfruttamento e precarietà. Anche oggi, a ristabilire equità lungo la filiera e a tutelare i lavoratori ci penseremo domani!




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