Pubblicato da Redazione
il 19/06/2025
È trascorso un anno dalla morte di Satnam Singh.
Un nome che è diventato un simbolo di ingiustizia e prevaricazione sul lavoro. La sua storia ha costretto il nostro paese a capire cosa fosse il caporalato e quale fosse l’altra faccia dell’agricoltura italiana, oltre a quella tanto blasonata del cosiddetto made in Italy.
Ma è un fatto ciclico ormai e accade più frequentemente in estate, quando i ritmi del lavoro agricolo si fanno forsennati, quando le alte temperature acuiscono le già gravose condizioni della raccolta di frutti e ortaggi: cordoglio e commozione quando avviene una tragedia. E poi, trascorsi pochi mesi, torna il silenzio.
Ma la morte di questo lavoratore di nazionalità indiana di 31 anni, avvenuta nell’azienda agricola Lovato a Borgo Santa Maria, nel comune di Cisterna di Latina a una manciata di chilometri da Roma, resterà impressa ancora per molto in tutti noi, perché parla di sopraffazione, ingiustizia e fallimento dei servizi pubblici, in una maniera inedita. Satnam Singh è morto dissanguato, dopo che un macchinario avvolgi plastica ha tranciato il suo braccio. Il suo datore di lavoro non lo ha soccorso. Lo ha caricato in macchina insieme a sua moglie Soni, che lavorava nella stessa azienda, e ha scaricato entrambi davanti alla loro casa, come dei sacchi di immondizia, con il braccio divelto deposto in una cassetta di ortaggi. Dopo 36 ore di agonia, Satnam muore all’ospedale San Camillo di Roma.
A poche ore dalla notizia della morte, con Terra! abbiamo portato i nostri corpi in piazza della Libertà a Latina, il simbolo delle proteste della comunità Sikh che lavora in agricoltura nell’Agro pontino. In questa stessa piazza, nel 2016, c’era stato il primo sciopero dei lavoratori indiani impiegati nel comparto, la prima volta che da quelle parti i lavoratori agricoli stranieri alzavano la testa di fronte a datori di lavoro senza scrupoli.
GLI STRUMENTI DI PREVENZIONE E CONTRASTO DEL CAPORALATO
Di caporalato e sfruttamento l’agricoltura italiana è piena. Lo raccontiamo da sempre, attraversando il paese in lungo e in largo. Ne è pieno il Sud, ne è piena l’Europa, ne sono piene le ricche filiere del Nord, come abbiamo denunciato nell’ultimo report “Gli ingredienti del caporalato”.
Il caporalato non solo esiste ancora ma sta trovando gli anticorpi per resistere ai pochi strumenti messi in campo per debellarlo.
Ci sono ancora molti nodi da sciogliere, eppure si decide di non affrontarli. E proprio per questo, continuano a esserci vittime.
Il Decreto Flussi, lo strumento con cui vengono reclutati i lavoratori stranieri in Italia anche in agricoltura, è fortemente inadeguato. Lo dicono gli stessi datori di lavoro. Secondo i dati della Flai CGIL, nella sola provincia di Latina, solo il 7% degli stranieri chiamati dalle aziende agricole ha infatti un permesso di soggiorno.
C’è il tema dell’alloggio. Da anni chiediamo lo smantellamento dei ghetti, gli insediamenti informali che puntellano prevalentemente le campagne del Sud, in cui i lavoratori agricoli -ma non solo- arrivano a migliaia specialmente durante le stagioni di raccolta. Il Pnrr aveva messo a disposizione 200 milioni di euro per smantellare questi luoghi infernali e sostituirli con alloggi dignitosi. Ma oggi il tempo è scaduto e su quei soldi il governo tace, senza dare una risposta a quei comuni del Sud che aspettavano di sanare questa grande ferita.
C’è la legge Bossi – Fini, che ha legato l’ingresso regolare in Italia di un cittadino straniero, quindi il permesso di soggiorno, solo a un contratto di lavoro.
C'è soprattutto il tema della filiera, che da anni portiamo al centro del dibattito: garantire ai lavoratori e ai produttori il giusto reddito, assicurando una giusta redistribuzione del valore lungo la filiera, può sicuramente prevenire fenomeni di sfruttamento.
Sono anni che chiediamo di rivedere queste assurde leggi securitarie e il comparto nel suo complesso. Ma solo in pochi casi abbiamo trovato l'ascolto della politica. Quest'anno, in Lombardia, proprio dopo la morte di Stanam, che ha scosso le coscienze. Un primo passo importante, che speriamo possa arrivare a dotare la prima regione italiana per valore dell'agroalimentare di una normativa adeguata all'importanza della questione. E se ciò accadrà, è anche merito di questa orribile tragedia.
Oggi non possiamo più vivere nel paese del “non disturbiamo chi produce”. Vogliamo un paese che invece pensi al “non sfruttiamo chi lavora”.