Pubblicato da Redazione
il 15/09/2025
Per molto tempo il fenomeno del caporalato è stato considerato un’emergenza, ridotto a casi di cronaca che avevano risonanza soprattutto nella stagione estiva, tipicamente associata alla raccolta di pomodoro, il prodotto che per anni è stato simbolo dello sfruttamento del lavoro in agricoltura.
Negli ultimi anni la tendenza è quella di considerarlo per quello che è, ovvero un fenomeno strutturale. Grazie anche al lavoro di Terra!, si è compreso che il caporalato sta cambiando pelle e che è rintracciabile ovunque, sia al Sud che al Nord, anche in quelle filiere considerate "ricche", simbolo del made in Italy nel mondo.
Il reato di caporalato è stato legato a lungo unicamente alla figura del “caporale”.
In maniera del tutto illegale, il caporale mette in contatto le aziende agricole e le persone che cercano lavoro, seleziona i lavoratori e le lavoratrici, spesso ha il controllo assoluto sul trasporto quindi li accompagna nei campi a bordo di furgoni, e procura loro un alloggio, di solito una baracca di legno e plastica all’interno dei cosiddetti “ghetti”, luoghi in cui i diritti umani sono calpestati ogni giorno, lontani dai centri abitati, di cui sono piene soprattutto le campagne del Sud e in maniera diversa, quelle del Nord.
La legge 199 del 2016 – alla cui approvazione Terra! ha contribuito- ha rivoluzionato il concetto di reato di caporalato. Con questa legge, la responsabilità in solido del reato si è allargata dal caporale all'azienda agricola, ossia all'imprenditore che fa ricorso al caporale per reclutare manodopera in maniera illegale. Il caporalato è infatti l’ultimo tassello di una filiera alimentare densa di criticità, che scarica le esternalità negative sugli anelli inferiori, fino ad arrivare al lavoratore. Osservare la filiera, capirne i malfunzionamenti, denunciarli all’opinione pubblica e alle istituzioni, come fa Terra!, diventa allora l’antidoto per prevenire l’insorgere del fenomeno. Per fare ciò, occorre abbinare l’applicazione della parte proattiva della legge, che punta a prevenire il fenomeno, a quella repressiva, che per ora sembra stia avendo più successo.
Raccontare lo sfruttamento di lavoratrici e lavoratori nelle campagne, senza raccontare lo strapotere della Grande Distribuzione Organizzata (GDO), i supermercati in cui facciamo la spesa, e la debolezza contrattuale dei produttori agricoli vorrebbe dire mettere a fuoco solo una piccola parte del fenomeno, senza vedere lo schema più ampio, fatto di relazioni dominate da competizione sfrenata, prepotenza e prevaricazione. Terra! è stata tra le associazioni che più ha denunciato il ruolo dei supermercati nella filiera di sfruttamento. Con la campagna “Filiera Sporca”, lanciata nel 2017, ha denunciato che la pressione che la Gdo esercita nei confronti dei produttori, spesso pagando un prodotto al di sotto del costo di produzione, contribuisce infatti a creare lo sfruttamento sui lavoratori nei campi agricoli. Per questo, l’associazione ha contribuito a costruire campagne di pressione nei confronti dei supermercati affinché questi rivedessero i contratti stipulati con i produttori e affinché la filiera tornasse a essere equa per tutti gli attori. Ecco perché l’approccio di Terra! al contrasto del caporalato è chiamato “di filiera”.
Un approccio che Terra! ha voluto raccontare anche in un podcast dedicato al caporalato: "Terra - La Filiera Sporca", un prodotto editoriale che racconta le lotte, il lavoro e le vite nel grande ingranaggio della filiera alimentare con interviste ai principali attori.
Nello specifico, nel 2017, insieme alla Flai CGIL, Terra! ha lanciato la campagna “Astenetevi!”, un’azione di pressione sui supermercati a cui è stato chiesto di eliminare lo strumento delle aste al doppio ribasso. Le aste sono vere e proprie aste telematiche, con cui i supermercati acquistano i prodotti che mettono in vendita. Alle aste partecipano produttori in anonimato, che fanno diverse offerte. L’offerta che viene premiata è quasi sempre quella al ribasso. Questo meccanismo, raccontato per la prima volta da questa campagna, contribuisce a strozzare i produttori agricoli e quindi a valersi sul lavoratore. Dopo anni di pressioni e mobilitazioni, la campagna “Astenetevi!” è arrivata anche in Ue, tanto che nella Direttiva Ue n° 633/2019 sulle pratiche commerciali sleali inserisce lo strumento della aste nella lista delle pratiche vietate alla GDO. Un successo importante, che si è tradotto anche in legge nazionale con il DL n.198 del 2021.
Il lavoro di contrasto e denuncia del caporalato nell’anno della pandemia globale si sposta in Europa. Parallelamente a una campagna che puntava a chiedere al governo italiano di regolarizzare i lavoratori nel bel mezzo di una crisi sanitaria senza precedenti, è stato avviato un lavoro di indagine in Italia, Spagna e Grecia, confluito nel report “E(U)xploitation – Il caporalato, una questione meridionale: Italia, Spagna, Grecia”. Da questa inchiesta, sono emersi moltissimi elementi comuni a questi paesi: sfruttamento di manodopera migrante, spesso femminile; canali di accesso inefficaci; presenza di un modello agroindustriale che spinge a ritmi lavorativi frenetici e allo sfruttamento; intermediari senza scrupoli che lucrano sulla vulnerabilità di lavoratrici e lavoratori; presenza di insediamenti illegali.
Dal Mediterraneo europeo, la denuncia si sposta poi al Nord Italia. Terra! indaga così la filiera di sfruttamento nell’agricoltura lombarda, la prima per valore dell’agroalimentare italiano. Un territorio molto difficile da attraversare e raccontare, dove diverse aziende hanno volutamente negato interviste e incontri, dichiarandosi estranee dal modello “Rosarno” (cittadina calabrese nota per gli insediamenti illegali e per il caporalato nella raccolta delle arance), considerato nello stereotipo, uno dei luoghi in cui si concentra il caporalato al Sud. Qui, con il report “Cibo e sfruttamento. Made in Lombardia”, una nuova inchiesta ha fatto emergere quanto il caporalato stia evolvendo e cambiando pelle. Non più caporali senza scrupoli che reclutano lavoratori per le aziende agricole, ma soggetti intermediari come cooperative senza terra, agenzie per il lavoro fraudolente, false partite Iva, che reclutano velocemente manodopera migrante per aziende che producono meloni, insalate in busta e macellazione di capi di suini, filiere considerate normalmente estranee al fenomeno. Soggetti che si muovono in un quadro di legalità, che impedisce di seguirne le tracce e di far partire le indagini.
L’indagine lombarda di Terra!, che all’inizio non viene accolta con entusiasmo dalla destra regionale e da una parte dell’imprenditoria, solo un anno dopo arriva in Regione Lombardia. La tragica morte del lavoratore Sikh Satnam Singh nell’Agropontino, il 29 giugno 2024, spinge infatti il consiglio regionale a organizzare un’audizione sul tema, che avesse come oggetto il report di Terra!. Da allora Terra! inizia ad avere un dialogo costante con le istituzioni regionali lombarde, che invitano l’associazione in nuovi incontri e audizioni e, nel settembre 2024, approvano all’unanimità una mozione anti caporalato. Un atto importante, con cui sostanzialmente vengono aumentati controlli e monitoraggio del fenomeno nel comparto agricolo.
Lavoro grigio, cooperative senza terra, modalità opache di reclutamento, condizioni di trasporto e alloggio precari. Gli esiti dell’indagine in Lombardia spingono l’associazione a proseguire il lavoro di denuncia e inchiesta al Nord, nelle regioni Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Lombardia. In riferimento a quest’ultima, Terra! decide di formulare sulla base del precedente report “Cibo e sfruttamento. Made in Lombardia”, una proposta di legge regionale di contrasto al fenomeno del caporalato. Viene così redatto un Policy Brief “Caporalato e sfruttamento in Lombardia: come governare i fenomeni”, un documento che ricostruisce dati e analisi dell’economia agricola lombarda, contenente alcune Raccomandazioni rivolte alla Regione Lombardia, alla Giunta e a diversi portatori di interesse, per prevenire e contrastare realmente il fenomeno.
Nasce così il report “Gli ingredienti del caporalato: Il caso del Nord Italia”.
Il nuovo rapporto, basato su un’inchiesta sul campo fatta da un team di ricercatori, approfondisce i comparti vitivinicolo e ortofrutticolo della provincia di Cuneo in Piemonte (Alba e Saluzzo), il Prosecco nella provincia di Treviso in Veneto e le colture vitivinicole del Friuli Venezia Giulia dei Colli Orientali e del Friuli Occidentale (Pordenone e parte di Udine).
Il report mette a fuoco gli “ingredienti”, cioè i fattori che determinano la diffusione del caporalato. Tra questi: l’aumento di nuove forme di intermediazione illecita come le cooperative senza terra, le partite IVA, le srl e le srls; una manodopera straniera sempre più ricattabile; i prezzi imposti dalla Grande distribuzione organizzata; la precarietà delle condizioni abitative dei lavoratori agricoli e il modello agroindustriale, cioè la logica che guida la produzione agricola nelle filiere analizzate: produrre tanto e ovunque per guadagnare di più. Un aspetto che diventa centrale nelle indagini che conduce Terra!, perché crea una saldatura tra le battaglie dell’associazione contro il caporalato con quelle sulla crisi ambientale, sulla qualità del cibo e sul reddito degli agricoltori.