Rosarno
Se le telecamere si spengono quando partono i camion, è inutile

Pubblicato da Redazione

il 12/02/2016

In queste settimane i media continuano a trasmettere servizi dal cosiddetto “inferno di Rosarno”. Si tratta della tendopoli dove gli stagionali impegnati nella raccolta delle arance vivono in condizioni disumane.
Mattino Cinque, Le Iene e persino Striscia la notizia, a dimostrazione che lo schiavismo nei campi della piana di Gioia Tauro fa parte ormai anche dell’immaginario pubblico anche delle trasmissioni più popolari, hanno raccontato come “nulla sia cambiato in sei anni”.
Il periodo di riferimento preso come metro di giudizio è quello della rivolta dei migranti, nonostante da decenni il caporalato e lo sfruttamento del lavoro in quella zona fosse ormai evidente a chiunque volesse veramente vederlo.
Proprio da questa consapevolezza, è nata la campagna #FilieraSporca: la denuncia di ciò che avviene nei campi non basta a produrre cambiamenti strutturali.

Che fine fanno le arance raccolte in quei nei campi? Qual è la responsabilità delle multinazionali, della grande distribuzione, dei commercianti, dei produttori, delle aziende di trasporti, delle agenzie di lavoro interinale?

Per capire questo fenomeno non è più sufficiente il racconto di una “emergenza” che dura da anni con gli stessi meccanismi.
È invece fondamentale e urgente indagare le cause, seguire i camion dove vengono scaricate le arance e i mandarini della piana di Gioia Tauro, svelare ai cittadini dove finisce il frutto di tutto quello sfruttamento, indagare quindi la filiera come abbiamo fatto con il rapporto Filiera Sporca, presentato lo scorso giugno da Terra!Onlus, daSud e Terrelibere, in cui individuiamo nei passaggi intermedi della catena che porta dal campo al supermercato, le ragioni del caporalato e dello sfruttamento del lavoro agricolo.
Da allora chiediamo costantemente al Governo e al Parlamento di introdurre leggi che rendano l’intera filiera agroalimentare trasparente, in tutti i suoi passaggi, e alla grande distribuzione e alle multinazionali di settore di rendere pubblico l’albo dei fornitori e dei subfornitori.

Sono ancora troppo pochi quelli che raccontano dopo il campo. Forse è più facile fermarsi all'immagine del “povero africano sfruttato” o a quella della baraccopoli. Perché preferiamo considerare tutto come un’emergenza.
E intanto nei campi italiani si continua a morire. Talla Seck, senegalese, 56 anni, è morto pochi giorni fa per le esalazioni di un rudimentale braciere che gli serviva per scaldarsi. Viveva in una tendopoli improvvisata in Puglia.

   



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