La formazione come strumento di emancipazione è al cuore del progetto “IN CAMPO! Senza caporale” e si riassume in uno slogan: non braccianti, ma lavoratori. Fin dall’inizio, infatti, abbiamo lavorato molto con i nove partecipanti coinvolti, per offrire loro conoscenze teoriche e pratiche che li aiutassero a proporsi in futuro nel mercato del lavoro con nuove competenze. Per tanti braccianti agricoli, in particolare immigrati in condizioni di vulnerabilità, è infatti difficilissimo uscire dalla spirale di sfruttamento innescata da tanti fattori: scarsa conoscenza della lingua italiana, difficoltà di ottenere un permesso di soggiorno, vita emarginata nei ghetti sorti fuori dai centri urbani. Le falle nel sistema di accoglienza – allargate dal nuovo Decreto sicurezza – relegano gli stranieri alla marginalità, in condizioni da cui è quasi impossibile affrancarsi. “IN CAMPO! Senza caporale” vuole tracciare una strada diversa, che permetta ai giovani braccianti di valorizzare le proprie risorse per favorirne l’autonomia, il senso di responsabilità e di appartenenza. Per questo Terra! ha coinvolto professionisti del settore agricolo, del marketing e della comunicazione, ma anche il sindacato, per garantire ai partecipanti una formazione a tutto tondo: dalle tecniche agricole ai diritti dei lavoratori, fino alla realizzazione di un’etichetta partecipata per il prodotto finale del progetto.
I nove partecipanti hanno svolto 150 ore di teoria e pratica nelle aziende partner del progetto. Le prime lezioni si sono svolte a giugno e hanno rappresentato le fondamenta dell’intero corso: il suolo, gli organismi viventi, la respirazione, la fotosintesi clorofilliana e le piante. Durante il mese di luglio, gli studenti hanno studiato i sistemi d’irrigazione, le malattie del pomodoro e delle colture tipiche della stagione estiva. Nei mesi successivi hanno lavorato su ulivi e alberi da frutta, imparando le loro fitopatie, le potature e i diversi impianti.
Alle 150 ore svolte in campo si sono aggiunti momenti formativi condotti dalla Flai CGIL sul tema dei diritti dei lavoratori: in questo modo, i ragazzi hanno potuto familiarizzare con il mondo dei contratti, delle buste paga, conoscere meglio il sistema dello sfruttamento lavorativo e del caporalato.
Per dare valore al prodotto, un battuto di cime di rapa e broccoletti che rappresenta la sintesi del lavoro svolto insieme alle aziende partner, i nove partecipanti hanno svolto quattro lezioni con un esperto marketing strategist, che ha organizzato un laboratorio partecipativo da cui è emerso il nome che potete leggere sul vasetto: ASSAY.
Ogni processo integrazione passa per l’apprendimento della lingua. Proprio la difficoltà di comunicare, infatti, rappresenta uno dei principali ostacoli all’uscita dalle condizioni di marginalità per i migranti che arrivano nel nostro paese. Per questo i ragazzi sono stati incoraggiati ad iscriversi a un corso d’italiano, che si tiene a Cerignola due giorni a settimana. Il percorso di studio della lingua li aiuterà a migliorare il lessico e la pronuncia, ma anche a comprendere meglio ciò che accade intorno a loro Cooperativa Sociale Pietra di Scarto. Nasce nel 1996 a Cerignola (FG) su tre ettari confiscati ad un affiliato di uno dei clan foggiani di riferimento negli anni ’80 con l’obiettivo di realizzare l’inserimento lavorativo di persone in difficoltà. La cooperativa produce olive Bella di Cerignola e pomodori cercando di mettere in pratica il senso più profondo della legge 109/96 e cioè trasformare i luoghi simbolo del potere mafioso in laboratori di rinascita sociale ed economica, fondando la propria attività su un impegno politico quotidiano utile a promuovere un modello di cambiamento in un territorio strangolato da una sub-cultura mafiosa e da fenomeni mafiosi e odiosi quali il caporalato e lo sfruttamento della manodopera straniera.
Nasce nel 1996 a Cerignola (FG) su tre ettari confiscati ad un affiliato di uno dei clan foggiani di riferimento negli anni ’80 con l’obiettivo di realizzare l’inserimento lavorativo di persone in difficoltà. La cooperativa produce olive Bella di Cerignola e pomodori cercando di mettere in pratica il senso più profondo della legge 109/96 e cioè trasformare i luoghi simbolo del potere mafioso in laboratori di rinascita sociale ed economica, fondando la propria attività su un impegno politico quotidiano utile a promuovere un modello di cambiamento in un territorio strangolato da una sub-cultura mafiosa e da fenomeni mafiosi e odiosi quali il caporalato e lo sfruttamento della manodopera straniera.
Nasce nel 2008 e dal 2011 gestisce Terra Aut, un bene confiscato alla mafia, sito a Cerignola (FG) in Contrada Scarfone. La cooperativa unisce giovani impegnati nella promozione e sensibilizzazione di temi quali l’agricoltura sociale e sostenibile, l’antimafia sociale e l’intercultura. Nei suoi terreni sorgono un orto invernale ed uno estivo e sono presenti ulivi e alberi da frutto da cui vengono prodotti ogni anno olio extravergine di oliva, confetture di uva, ciliegie e prodotti trasformati quale il paté di broccoletti e cime di rapa.
Dopo una laurea in economia aziendale e tre anni di pratica da dottore commercialista, Domenico decide di tornare alla terra e nel 2017 acquista otto ettari di terreni nell’agro di Cerignola (FG). Oggi conduce un’azienda di 14 ettari producendo uva da vino e da tavola, pesche, nettarine, albicocche ed olive.
L’azienda nasce nel 2005 nei terreni di famiglia in cui si produce uva da vino (varietà San Giovese) e pesche. In seguito all’inserimento in azienda di Roberto Merra, le produzioni hanno ottenuto la certificazione bio e l’azienda si è ampliata su 7 ettari coltivati a vigneto (lambrusco e trebbiano toscano), uliveto (olive Coratina e Bella di Cerignola) e pomodoro. La manodopera è per lo più famigliare con il supporto, quando necessario, di personale qualificato regolarmente assunto.
L’azienda agricola di Vito Merra nasce nel 2005. In un’estensione di 23 ettari si producono in regime bio cereali, olive Coratina e uva Garganega bio. L’azienda commercializza olio e olive Bella di Cerignola a marchio Aquamela bio, nome della località in cui si trovano sei ettari di oliveto
Mounir ha solo 28 anni, ma ha attraversato mezza Africa nella lunga migrazione verso il nostro paese. Partito dal Togo quattro anni fa, ha solcato Ghana, Burkina Faso, Niger, Libia e poi il Mediterraneo. “In Libia ho lavorato come muratore, ho venduto benzina e lavato automobili per pagarmi il viaggio”, ci spiega. Da Palermo è arrivato a Vicenza, lavorando poi alla raccolta dei fagioli rossi a Cuneo. Due anni fa è arrivato al ghetto di Borgo Tre Titoli: “Era come stare in prigione, alcune case hanno la luce, altre no. Per caricare il cellulare devi pagare 50 centesimi a quelli che hanno la corrente”.
Paap è uno dei “senatori” del progetto “IN CAMPO! Senza caporale”. E’ dovuto partire dal Senegal – dove studiava e lavorava come panettiere – nel 2003, arrivando con il visto in Francia. Ha vissuto a Ventimiglia e Genova prima di arrivare a Foggia e lavorare come venditore ambulante. Oggi ha 43 anni ed è mediatore culturale per lo Sportello immigrazione del Comune di Cerignola: “Ho voluto partecipare al progetto per acquisire competenze nel settore dello sfruttamento lavorativo in agricoltura – ci ha raccontato – Sono felice perché si tratta di un progetto concreto, che aiuta davvero le persone a uscire dal ghetto”.
Hussein è venuto dal Togo nel 2015, attraversando il Mediterraneo su un barcone. Dopo lo sbarco in Sicilia è stato trasferito in Umbria, vivendo in accoglienza a Perugia e Spoleto. Poi, alla fine del percorso, si è trovato come tanti altri ragazzi senza un’alternativa, arrivando al ghetto di Borgo Tre Titoli per lavorare saltuariamente in agricoltura. “Lavorare in campagna mi piace – ci spiega – ma vorrei fare il muratore”. Anche lui è un amante del calcio, ma la sua passione è una bicicletta che sfoggia con orgoglio. Gliel’ha donata da Vito, l’agricoltore che lo ha ospitato durante il tirocinio.
Ibrahim è un ragazzone senegalese di 39 anni, in Italia già dal 2007. “Sono arrivato con il visto – ripercorre – perché in Senegal lavoravo come elettricista ma non guadagnavo abbastanza. Un collega, partito prima di me, è tornato dopo cinque anni, ha comprato un’auto costosa e una casa nuova. Aveva fatto fortuna in Italia, così ho pensato che avrei potuto farcela anch’io”. Ma Ibra ha lasciato il suo paese mentre nel nostro esplodeva la crisi economica, trovando un mercato del lavoro più precario. Così ha dovuto adattarsi: “Ho fatto il venditore ambulante a Milano, Napoli e Cerignola prima di conoscere il progetto IN CAMPO!”.
Matthew, 28 anni, viene dal Ghana. Stava lavorando in Libia come muratore quando, nel 2011, è scoppiata la guerra. Così, non potendo tornare a casa, ha preso la via del mare. “Quei giorni in acqua faceva freddo, arrivavano le ondate e noi eravamo 400 persone a bordo di un barcone strapieno”. Ha vissuto a Latina e a Manduria, lavorando sempre in campagna. “Non è facile e non si guadagna bene. Più raccogli, più guadagni, sei costretto a lavorare di corsa: la volta che ho guadagnato di più sono riuscito a riempire 37 cassoni di pomodoro. Questo progetto è diverso, mi permette di lavorare ma anche di andare a scuola”.
Guebre, 33enne del Burkina Faso, è il più scanzonato di tutti, sempre pronto alla risata e allo scherzo, anche se ha trascorso tre mesi nelle carceri libiche. E’ arrivato in Italia via mare quattro anni fa, dopo essere stato scarcerato durante una notte. Arrivato qui, ha trascorso due anni nel circuito dell’accoglienza. Poi, anche lui è finito al ghetto di Borgo Tre Titoli per lavorare in agricoltura. “Un giorno non c’era lavoro e sono rimasto al ghetto – racconta – Così ho incontrato Hussein che mi ha suggerito di entrare nel progetto. Questa scelta mi ha aiutato tanto, perché oggi ho un documento ed è fondamentale. Adesso voglio prendere la patente”.
Mamadou è arrivato dal Senegal già nel 2002. Oggi ha 50 anni e un passato da venditore ambulante. “Adesso il lavoro è migliore – sospira – mi piace lavorare in campagna. Prima non capivo niente dell’agricoltura italiana, ora piano piano sto imparando. Quando avrò tutte le competenze necessarie, tornerò in Senegal per coltivare la mia terra”. La Cooperativa Altereco, dove ha svolto la formazione e il tirocinio, ha deciso di accoglierlo come socio. E questa è certamente uno dei risultati più importanti raggiunti dal progetto “IN CAMPO! Senza caporale”.
Abdoulaye, 30 anni, è originario del Togo, dove lavorava come muratore e aiutava la famiglia in campagna. In Italia ci è sbarcato tre anni fa, vivendo per circa un anno in un centro di accoglienza nel centro Italia. Come tanti altri, per cercare lavoro ha ascoltato i suggerimenti di alcuni connazionali, spostandosi in Puglia e finendo in uno degli hub della manodopera agricola migrante: il ghetto di Borgo Tre Titoli. Grazie al progetto “IN CAMPO! Senza caporale” ha potuto conoscere un mondo diverso, dove il rispetto della dignità umana è alla base dei rapporti interpersonali. Al futuro chiede un lavoro, qualunque esso sia, pur di continuare ad aiutare la moglie e i quattro figli rimasti in Togo.
Yusuf ha 23 anni ed è arrivato dal Ghana a Lampedusa nel 2011. “Ricordo che per molti giorni ho continuato a svegliarmi pensando di essere in mare”, ci racconta. Quando lo abbiamo incontrato e coinvolto nel progetto viveva al ghetto di Borgo Tre Titoli, vicino a Cerignola e lavorava in campagna sotto caporale. “La vita era difficile – ricorda – vivevo al freddo e guadagnavo poco”. Oggi vive insieme agli altri ragazzi in una casa vera e può coltivare non soltanto la terra, ma anche il suo hobby preferito: il calcio.
Scopri InCampo!Senza caporale 2019